Politica o assistenza? Nessuna strada alle donne delle associazioni di Verona

Di Luca Spagnolo

La fine della guerra e la liberazione portarono con sé la “concessione” del voto alle donne, come fu definito per molti anni, il riconoscimento dei diritti politici alla metà della popolazione italiana. Fu decretato senza l’ampio dibattito parlamentare tanta sbrigativa determinazione è stata spiegata con l’urgenza dovuta alla scadenza per la preparazione delle liste per le elezioni amministrative, con il timore che il nuovo Comitato pro voto sviluppasse una battaglia politica più generale sui diritti delle donne. Le due personalità politiche che più delle altre vollero il suffragio femminile furono De Gasperi e Togliatti, prefigurarono la forma che avrebbe preso la democrazia animata da partiti dall’ampio consenso popolare. Il Pci propose di continuare l’esperienza ciellenistica dei Gruppi di Difesa della Donna (Gdd). La nuova organizzazione prese il nome di Unione Donne Italiane (Udi), ad essa aderirono le più note esponenti dei partiti comunisti, socialisti, azionista e della sinistra cristiana. Il Centro Italiano Femminile (Cif) nacque con il proposito di contrastare l’azione dell’ Udi. Esse riuscirono ad agitare tematiche legate ai diritti sociali arrivando a toccare con la loro azione luoghi distanti.
A Verona l’associazionismo politico femminile fu attivo fin dai primi giorni successivi alla liberazione. In città e in provincia durante la Repubblica Sociale erano presenti i Gruppi di difesa donne (Gdd), ad essi si deve l’unico sciopero proclamato a Verona sotto l’occupazione nazista, quando per una settimana le filandiere incrociarono le braccia per chiedere miglioramenti salariali e boicottare la produzione della seta destinata alla costruzione di paracadute per l’esercito tedesco. Letizia Armiliato, prima presidente dell’Udi veronese, ricordava che le avevano chiesto di impegnarsi per creare un gruppo di donne, prese il nome di Udi. Tra le fondatrici bisogna ricordare: Odilla Rossi, le sorelle Maria, Giulietta Rossini e Rosa Tosoni. Per il Psi aderirono: Lina Morando e Feconda Marinelli rappresentando la componente socialista. In particolare Odilla Rossi aveva raggiunto il grado di capitano nella divisione Garibaldina Avesani. Nel frattempo a Verona era nato il Cif. Le fondatrici furono: Maria Piva Bottagisio, Emilia Uberti Benini, Maria Clementi Trabucchi e Maria Adelaide Sartori Buffatti. Nel Cif era prevista la figura di un sacerdote come consigliere spirituale, mentre nessun uomo poteva essere presente nell’Udi. La prima iniziativa fu: fondareun comitato “Pro infanzia”. Nello stesso periodo l’Udi, insieme al Pci provinciale, aderì al comitato nazionale pro Cassino, una delle iniziative che nell’Italia devastata dalla guerra diede il segno della nascita di un nuovo spirito di solidarietà nazionale. Le militanti dell’Udi avevano l’incarico di organizzare i trasporti per andare a prendere i piccoli e riportarli a casa. L’Udi e il Cif inoltre avviarono mense, raccolte libri e materiale scolastico. Tutte queste attività non videro nessuna collaborazione tra le sue organizzazioni che operavano in competizione tra loro. Il Cif allestì alla stazione un posto di accoglienza e ristoro per coloro che rientravano dai campi di prigionia e cercando di dare indicazioni affinché potessero tornare dalle famiglie.
Nessuna donna fu inclusa nella prima Giunta nominata all’indomani della liberazione. Fu il prefetto democristiano Giovanni Uberti a chiamare Marina Bortolani come assessore supplente. Non poche giunte ciellenistiche nominarono donne come responsabili dell’assistenza. Le volontarie della San Vincenzo aderirono al Cif, dando un più chiaro orientamento politico. Poco dopo il Pci nominerà come assessore all’istruzione Maria ZeniFracastoro. La necessità di rappresentare le donne fu più sentita al momento di proporre le liste per le prime elezioni amministrative. L’unica eletta fu Maria Bortolani con più di 600 voti. Anche le altre candidate ebbero una discreta affermazione. Nessuna delle candidate proposte dalle formazioni di sinistra fu eletta. Poco dopo la Dc nominò Lisetta Dal Cero come propria rappresentante. Successivamente, al momento di nominare i due rappresentanti del Comune nel comitato di Solidarietà Sociale, furono per il Pci Berto Perotti e per la Dc Marina Bertolani.

Tra famiglia e lavoro
Un altro nodo che distingueva nettamente le cattoliche dalle donne di sinistra era la diversa concezione del ruolo delle donne nella società e nella famiglia. Per la chiesa il posto delle donne era nella famiglia, la sinistra sosteneva l’esistenza di una oppressione femminile. Questa visione spiega come a Verona l’Udi si rivolse subito alle lavoratrici e cercò di rappresentarne le esigenze. Forti del decreto che imponeva alle pubbliche amministrazioni e alle imprese di assumere reduci, le associazioni dei reduci pretendevano che le donne fossero licenziate per fare loro posto. Le militanti dell’Udi chiesero che fosse riconosciuta alle vedove e alle nubili la qualifica di capofamiglia, in modo da potere dimostrare la loro necessità di lavorare, per impedire licenziamenti indiscriminanti. L’attenzione nei confronti del mondo del lavoro era favorita anche dall’estrazione sociale delle udine, tra esse dobbiamo ricordare: Berta Piva e Odilla Rossi. A Verona erano presenti grandi fabbriche con maggioranza di manodopera femminile. Il congresso dell’Udi Veronese affrontò il tema della parità salariale, facendo appello alla solidarietà dei lavoratori contro una disparità voluta dai padroni. In occasione del secondo congresso dell’Udi, il settimanale “Il lavoratore” pubblicò una serie di servizi sulle lavoratrici, con i quali si denunciavano ingiustizie e vessazioni. L’Udi chiedeva corsi di formazione professionale anche per le donne, per le quali erano previsti solo corsi di sartoria o economia domestica. Il dibattito suscitato permise all’Udi di diffondere temi dell’emancipazione femminile, che nel passato erano stati discussi soprattutto tra donne delle classi medie con un livello di istruzione superiore. In un’ottica del tutto diversa si sviluppò l’iniziativa del Cif. Un considerevole impegno nei confronti delle contadine e delle donne della provincia alle quali erano proposti corsi di formazione. Il Cif riteneva prioritaria l’opera di educazione. Il Cif veronese riuscì a promuovere decine di corsi il cui fine era quello di “ svegliare un interesse per la cultura e la vita civile” insieme a nozioni di economia domestica, igiene, taglio e cucito ecc.
Un dialogo impossibile
La rottura sindacale seguiva il divieto ai cattolici di appoggiare in ogni modo le organizzazioni comuniste, rendendo ancora più difficile opporsi alle condizioni di lavoro cui erano soggette le lavoratrici. La condanna della chiesa colpì particolarmente l’Udi, che si era schierata con l’organizzazione delle donne comuniste. Questo stato di cose portò all’allontanamento di alcune tra le fondatrici dell’associazione, tra le quali Letizia Armiliato. Le udine continuarono a definire la propria come l’organizzazione “delle donne italiane”. Il trasferimento a Verona delle basi Nato diedero motivi di polemica. Le raccolte di firme a favore della pace furono sostenute dalle attiviste dell’Udi. Dal punto di vista formale essa fece ricorso ad una rappresentazione delle donne quanto mai tradizionale, tutto era incentrato sul loro essere madri e spose. Venne messa in discussione la dipendenza eccessiva dai partiti della sinistra che aveva impedito un’autonoma riflessione sulla condizione femminile. Nel contempo, la paura di urtare modi di pensare tradizionali aveva fatto che tematiche come la contraccezione fossero messe in ombra, esemplare da questo punto di vista era stato il tiepido sostegno alla proposta di legge della senatrice Lina Merlin relativa alla chiusura delle case di tolleranza. La pensione alle casalinghe raccolse una grande quantità di consensi. A Verona la proposta riscosse un grande successo e fece breccia anche negli ambienti cattolici. In tutta la provincia furono raccolte più di 6000 firme a sostegno della proposta di legge. Il congresso degli enti veronesi approvò un ordine del giorno che esprimeva solidarietà alle casalinghe. Il Cif criticò l’iniziativa, dichiarando strumentale l’attenzione dell’Udi verso le casalinghe, e preferì appoggiare una seconda proposta di legge, che si distingueva da quella presentata dall’Udi. Il settore femminile delle Acli veronesi promesse un’inchiesta sulla scelta del mestiere da parte delle giovani. L’iniziativa riscosse un grande successo, un centinaio di ragazze risposero al questionario proposto. Il matrimonio non era più l’unico orizzonte femminile, il lavoro era contemplato tra le possibilità dell’autorealizzazione. Ci fu un’altra iniziativa dellUdi: la campagna contro il coefficiente Serpieri e per il miglioramento della condizione femminile nelle campagne. L’Udi rivolse l’attenzione verso le donne contadine. Si era sviluppato anche un sindacato che seguiva le mondariso in Piemonte. Si iniziò a contestare l’applicazione del coefficiente Serpieri per il quale il lavoro delle donne era considerato pari al 60% di quello maschile. A Verona si svolse una Conferenza della donna della campagna, cui parteciparono: Nilde Jotti, Lina Merlin, Nora Federici e Marisa Passigli. L’Udi raggiunse lo scopo e il coefficiente Serpieri fu abolito.
Tempi nuovi
L’Udi nazionale elaborò una “carta rivendicativa” con la quale cercarono di mettere al centro del dibattito le riforme sociali considerate necessarie. Le udine pubblicarono un appello delle donne veronesi ai candidati di ogni partito democratico della città di Verona. Si chiedeva alle forze politiche di impegnarsi per la costruzione di servizi sociali finalizzati a “sollevare le donne”. L’Udi chiese al Cif di firmare l’appello in nome dell’interesse delle donne veronesi, ma l’organizzazione cattolica si sottrasse. Berta Piva chiese ed ottenne di essere candidata alle elezioni comunali. La sua elezione con un numero di voti superiore al previsto le procurò l’accusa di aver svolto una campagna elettorale personale. Dal Cero e la Camerlengo furono nominate assessore, la prima all’anagrafe, la seconda all’istruzione pubblica. Infine Udi e Cif favorirono la formazione di un ceto politico femminile in città e provincia, capace di prendere la parola a favore delle donne.

Paola Giotti De Biase: nessuna via dedicata
Odilla Rossi: nessuna via dedicata
Giulietta Rossini: nessuna via dedicata
Rosa Tosoni: nessuna via dedicata
Lina Morando: nessuna via dedicata
Feconda Marinelli: nessuna via dedicata
Maria Piva Bottagisio: nessuna via dedicata
Emilia Uberti Benini: nessuna via dedicata
Maria Clementi Trabucchi: nessuna via dedicata
Maria Adelaide Sartori Buffatti: nessuna via dedicata
Marina Bortolani: nessuna via dedicata
Maria ZeniFracastoro: nessuna via dedicata
Lisetta dal Cero: nessuna via dedicata
Berta Piva: nessuna via dedicata
Letizia Armiliato: nessuna via dedicata
Nilde Jotti: Via dedicata a: Mantova, Conselice provincia di Ravenna, Montesano provincia di Lecce, Borgo san Giovanni provincia di Lodi, Serramanna provincia del medio Campidano, Polistena provincia di Reggio Calabria
Lina Merlin: via dedicata a Rovigo
Nora Federici: nessuna via dedicata
Marisa Passigli:nessuna via dedicata
Camerlengo: nessuna via dedicata

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